Giornata di studi – Presentazione della mostra
Abbecedari e sillabari. Una banca dati per la memoria
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
4 aprile 2006, ore 15,30 – Tribuna Galileiana


L’opera di digitalizzazione di una parte del fondo “Pubblicazioni minori” della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, relativa ai manuali di alfabetizzazione del periodo post-unitario, si inserisce a pieno titolo nei programmi della Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali, tesi alla costituzione di corpora digitali strutturati e omogenei da rendere disponibili alla fruizione sempre più ampia degli utenti, siano essi biblioteche, studiosi e specialisti, studenti e ricercatori o semplici appassionati. In questa attività si confermano la serietà progettuale il dinamismo della BNCF, che saranno certamente forieri di ulteriori sviluppi e risultati nel campo incrociato della catalogazione e inventariazione secondo le procedure SBN e della pubblicizzazione di fonti digitali accessibili in rete.

La creazione di questa Banca dati per la memoria, centrata sugli Abbecedari e sillabari pubblicati nella seconda metà dell’Ottocento, è stata resa possibile da una convenzione tra BNCF e Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi dell’Università di Firenze, che ringrazio nella persona del Prof. Dario Ragazzini, responsabile della ricerca e curatore scientifico della mostra allestita da Silvia Alessandri e Alessandro Sardelli, che si inaugura oggi nei locali della Biblioteca.

L’accesso al data base, disponibile sin da oggi gratuitamente in rete, è un servizio importante reso alla comunità di studiosi e ricercatori che si occupano non soltanto della storia dei sistemi educativi e didattici ma anche della letteratura d’infanzia e della lingua italiana, in quanto, oltre a sillabari e abbecedari usati in prima elementare, vengono presentati esemplari di libri di lettura per i giovanissimi.

Il periodo storico relativo agli strumenti didattici oggetto della digitalizzazione fu cruciale. Nel 1861 la percentuale complessiva degli analfabeti era del 75%, con punte che superavano l’85% nell’Italia meridionale e insulare. La legge Coppino del 1877 rendeva effettivo l’obbligo della frequenza alle elementari ma solo limitatamente al primo biennio. Nel 1863-64 il tasso di scolarità tra i ragazzi di età compresa tra i 6 e i 12 anni era del 43%: ma di questa percentuale solo il 5% era relativo alla frequenza della terza, quarta e quinta classe elementare. La dialettofonia esclusiva imperava tra i ragazzi. La figura professionale dell’insegnante era depressa, sia per preparazione che per trattamento economico. I potenti circoli gesuitici, dando voce al risentimento anti-statale della Chiesa, giudicavano fatica sprecata insegnare l’italiano a «branchi di zotici contadinelli».

In questo contesto, il crescente anche se disomogeneo espandersi della consapevolezza della necessità di adeguate politiche educative e scolastiche tra i settori più illuminati della classe dirigente nazionale, unito all’irrobustimento del comparto editoriale, portò nel giro di pochi anni alla pubblicazione di una quantità sempre maggiore di strumenti didattico-educativi: abbecedari, sillabari, libri di lettura per l’infanzia.

Dei primi non mette conto qui parlare: gli illustri relatori convenuti avranno modo di spiegare assai meglio di me le caratteristiche di tale produzione. Io voglio soltanto ricordare che, nel cinquantennio che va dal 1850 all’inizio del nuovo secolo, ebbero larghissima diffusione, fondamentale per le sorti dell’alfabetizzazione e dell’educazione primaria, le opere ancor oggi note di scrittori che si dedicarono alle storie per l’infanzia, a scopo didattico o di intrattenimento. Superando per vendite, qualità e fama il Giannetto che Parravicini pubblicò nel 1837, l’Italia poté contare sul Giornalino di Gianburrasca e sul Ciondolino di Luigi Bertelli, detto Vamba, sui Racconti delle fate voltati in italiano, sui tre volumi del Giannettino e, soprattutto, sul Pinocchio di Collodi e, infine, sul Cuore di De Amicis, il quale ultimo nel giro di un trentennio finì col vendere un milione di copie.

Ma senza i misconosciuti mattoncini dei sillabari e degli abbecedari, la lingua italiana risciacquata nell’Arno dal Manzoni e le basi dell’istruzione primaria avrebbero certamente faticato a rinsaldarsi. Di questi umili ma fondamentali materiali, spie di una cultura unitaria alle prime mosse, prendiamo oggi visione in modo più aperto e diretto; e di ciò torniamo a ringraziare quanti si sono spesi per rendere possibile questo risultato.


Luciano Scala