di Pietro Causarano

Un’esperienza di formazione partecipata

In questo breve articolo presento alcune note sui primi risultati parziali di una ricerca sulla esperienza delle 150 ore in Italia negli anni ’70, in particolare riguardo allo stato delle fonti e della documentazione. Questo studio si colloca all’interno di un più complessivo lavoro di indagine sul tema della professionalità e della formazione al lavoro e nel lavoro, che ho cominciato da qualche anno, e che - da un punto di vista cronologico - si concentra sul periodo di grandi trasformazioni culturali, istituzionali, sociali e economiche che va dagli anni ’60 agli anni ‘70.In questa sede, più che ricostruire dettagliatamente le vicende e i singoli passaggi storici, mi interessa maggiormente soffermarmi sullo stato delle fonti, in particolare archivistiche, tenendo conto che da poco è ricorso il trentennale dell’avvio di quella esperienza, tutt’oggi attiva benché in forme e modalità molto diverse e lontane da quelle delle origini [Boriani 1999]. Qualcosa, per altro, va comunque detto sulle 150 ore in generale, benché sommariamente [Tornesello 2005].

Documentare le 150 ore

Non mi dilungo in questa sede sulla storia delle 150 ore, dando per assodato che si sappia in linea generale di che si tratta, soprattutto in rapporto alle trasformazioni inerenti il tema dell’educazione degli adulti [De Sanctis 1978]. Per altro la letteratura di sintesi è abbastanza ampia. Le 150 ore sono un istituto contrattuale, ottenuto per la prima volta nell’autunno 1973 dai sindacati metalmeccanici, che garantisce ai singoli lavoratori un monte-ore individuale triennale per il diritto allo studio retribuito (appunto 150 nel settore meccanico e metallurgico, ma variabile in più o meno, a seconda dei contratti). Questo diritto è retribuito dall’impresa e l’utilizzo del monte-ore totale può essere scaglionato su più anni (di norma tre), ma anche concentrato in un anno solo. Esso è programmato collettivamente dal sindacato, nel corso degli anni ’70, primi ’80, all’interno di una negoziazione con l’azienda (per garantirne la continuità produttiva). La gestione delle modalità di usufrutto di questo diritto (dove, come, con chi) e dei suoi contenuti culturali è a libera disposizione dei lavoratori, fatte salve le quote temporali e quantitative di accesso contrattate collettivamente con l’azienda. Negli anni ’70 la proposta e l’offerta didattica sono soprattutto collegate all’iniziativa delle organizzazioni sindacali, ma anche di alcuni enti regionali e degli enti locali. Questo istituto viene ottenuto, a partire dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore metalmeccanico nel 1973, da tutti i maggiori comparti economici, in primo luogo industriali, fra il 1974 e il 1975 [Pagnoncelli 1977, pp. 90-98]. Dopo, negli anni seguenti, coinvolgerà anche il settore dei servizi pubblici e privati e la pubblica amministrazione. La possibilità di ottenere questo istituto è garantita, oltre che dal contesto di forza sociale e politica del sindacato unitario dopo il 1969-70, da quanto specificamente previsto dallo Statuto dei lavoratori (L. 300/1970). Questione centrale, che sarà alla base soprattutto delle discussioni degli anni ’80-’90, è il fatto che, per le 150 ore, si tratti solo di un istituto contrattuale senza tutela rafforzativa legislativa. Per questa ragione, cambiando la stagione politico-culturale dalla metà degli anni ’80 e mutando la struttura e i modelli organizzativi delle grandi e medie imprese, esso ha perso molto della innovatività iniziale, soprattutto sul piano della gestione collettiva e programmata.

Veniamo adesso alle fonti che si possono utilizzare nello studio di questo istituto e della sua gestione. Per semplicità, troviamo fonti bibliografiche di tipo secondario (letteratura scientifica varia, indagini istituzionali, ricerche, statistiche e fonti pubbliche, ecc.), ma anche fonti di matrice sindacale, sia a stampa sia materiale grigio. Infine, più originali e meno utilizzate perché meno conosciute, le fonti archivistiche, quelle su cui ci soffermeremo con maggiore attenzione, in particolare quelle conservate presso il fondo FLM sulle 150 ore per il diritto allo studio (Biblioteca centrale CISL di Roma).

Discontinuità politiche e sociali …

Queste fonti, interessanti spesso dal punto di vista statistico o definitorio oltre che documentario, sono concentrate fondamentalmente nella seconda metà degli anni ’70, primissimi anni ’80, nel momento in cui si comincia a studiare e riflettere sull’esperienza in corso. Successivamente, vi è una caduta di attenzione verticale che corrisponde anche alla graduale de-ideologizzazione dello strumento 150 ore, da una parte, e alla crescente crisi dell’unità d’azione e politica del sindacalismo industriale e confederale, dall’altra. Sicuramente hanno inciso anche il declino di una intera “parabola” della cultura sindacale unitaria italiana all’inizio degli anni ‘80, le trasformazioni sociali, organizzative e tecnologiche dell’impresa, le nuove differenziazioni nel lavoro conseguenti (e in particolare il tema della qualificazione e della sua valorizzazione; l’impasse nella riforma generale della scuola, soprattutto per la secondaria superiore; l’apparire di nuovi strumenti di formazione collegati al lavoro, dalla riforma dell’apprendistato alla definitiva regionalizzazione della formazione professionale, alla istituzione dei contratti di formazione-lavoro, ecc.) [Accornero 1992].

 

… e discontinuità temporali, quantitative e geografiche nelle fonti

Le fonti sulle 150 ore, conseguentemente, presentano anch’esse pertanto una certa discontinuità e risentono delle congiunture sociali, economiche e politiche. Però, presentano anche un certo interesse per ricostruire l’articolato dibattito e il clima culturale peculiare che c’erano negli anni ’60-’70 attorno alla nascente formazione continua, al lavoro in trasformazione e alla riforma della scuola [Bibliografia italiana 1982], un dibattito che trova una ridefinizione, anche in termini quantitativi, a partire dagli anni ’80-’90. Ma è un dato di fatto, già di per sé significativo, che – se le fonti bibliografiche e secondarie a stampa arrivano abbondanti fino alla seconda metà degli anni ’80 – le altre, e in particolare il materiale grigio sindacale e le fonti archivistiche, tendono invece ad esaurirsi già nella seconda metà degli anni ‘70. Questo dibattito coinvolgeva una pluralità vasta di attori (da quelli accademici più disparati - soprattutto pedagogisti, psicologi, sociologi e economisti del lavoro – ai soggetti sociali, politici e istituzionali direttamente interessati), attenti, tra l’altro, a sottolineare l’originalità dell’esperienza delle 150 ore nel contesto europeo [Pagnoncelli 1985; Lichtner 1988]. Negli anni ’70, vi è anche un filone editoriale variamente coinvolto sia nella pubblicistica attorno alle 150 ore che nella definizione degli strumenti didattici per i corsi (italiano, storia, matematica, lingue straniere, ecc.), costituendo per un periodo breve ma intenso un vero mercato editoriale: Editori Riuniti, Guaraldi e poi Nuova Guaraldi, De Donato, Editrice Sindacale Italiana, ecc.

I poli territoriali cui fanno riferimento le fonti secondarie a stampa – spesso indagini e ricerche specifiche, a parte numerose e diffuse sintesi nazionali - sono significativamente abbastanza ristretti (ed è un primo tema di riflessione da sottoporre all’attenzione e da verificare in futuro con le evidenze archivistiche), ma interessanti per le eredità che hanno lasciato; trasversale a tutti è comunque l’attenzione iniziale al recupero della scuola dell’obbligo (elementare e soprattutto media) [Pagnoncelli 1977] e, in misura territorialmente differenziata, alla formazione dei quadri e delle élites sindacali di fabbrica (corsi monografici nella scuola secondaria, seminari universitari) [Morandi 1978; Causarano 2005a].

 

Le polarizzazioni territoriali delle fonti secondarie a stampa

Queste polarizzazioni territoriali fondamentalmente sono:

a) in primo luogo, l’Italia industriale metropolitana, in particolare Torino e Milano (o meglio Piemonte e Lombardia), ma anche Genova, dove si concentrano gli elementi di massa simbolicamente più rilevanti del conflitto sociale (in questo caso, l’azione trainante è direttamente collegata all’iniziativa sindacale); in queste aree (soprattutto Torino e Milano) un peso particolare ha il tema dell’alfabetizzazione degli adulti (oltre la tradizione delle “scuole dell’alfabeto” e delle scuole popolari per il recupero dell’obbligo scolastico) [Demetrio 1977b], in connessione con l’immigrazione meridionale e le trasformazioni subite dalla composizione sociale e antropologica della classe operaia della grande e media industria a produzione di serie. Sono testimoniate, in particolare, innovazioni didattiche sul piano ad es. dell’insegnamento linguistico, della risoluzione dell’analfabetismo primario e di ritorno, funzionale e sociale, ecc. [Demetrio 1976 e 1977a; Cavazzoni 1976; Simone 1978; Barbano 1982];

b) in secondo luogo, le “zone rosse” di piccola e media impresa, le aree dei distretti industriali dell’Italia centrale, in cui invece una fondamentale funzione di sponda all’azione sindacale è svolta dal neonato ente regionale e dal sistema delle autonomie territoriali e locali [Ragazzini, Causarano, Boeri 1999] e dove non a caso il peso relativo della formazione di quadri sindacali e di delegati attorno alle 150 ore (secondaria superiore, università), rispetto alla formazione della massa dei lavoratori, è elevato. Nelle “zone bianche” del nord-est, invece, l’effetto-traino - più che alla dimensione distrettuale - è collegato soprattutto ai grandi insediamenti industriali della chimica di base, pubblica e privata (ad es. Porto Marghera), del tessile (nel vicentino), e dei beni di consumo durevole (ad es. Zanussi) ed è prevalentemente orientato alla formazione sindacale (si pensi al tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) [esempi di studi: per l’Emilia-Romagna, V.Capecchi, 1981-82 e 1982; per la Toscana, Monasta, Pecile, Mostardini 1975 e Abbate et al. 1975];

c) in terzo luogo, l’Italia meridionale e insulare, soprattutto attorno ai grandi bacini industriali pubblici (siderurgici e chimici) della dorsale adriatica e tirrenica, come in particolare a Bagnoli, a Taranto, meno intorno ai petrolchimici siciliani e sardi. Al sud si assiste inoltre ad un allargamento dell’esperienza 150 ore fuori della fabbrica e dei lavoratori maschi adulti occupati (almeno a Napoli), con una proiezione verso il territorio e altre figure sociali (casalinghe, disoccupati, ecc.), che poi si ripeterà anche altrove [Bondioli et al 1978; FIOM CGIL, 2003]. Queste esperienze si legano poi a precoci iniziative di “pedagogia sociale” e di educazione di comunità, ad es. sulle tematiche ambientali, come nella zona flegrea a Napoli [Orefice 1991]. Vi è da segnalare poi a Napoli il “movimento delle scuole popolari” che vede studenti “di estrazione borghese” e attivi nei movimenti di quegli anni, dare vita ad un coordinamento di queste scuole, soprattutto nei degradati Quartieri spagnoli [Fondo FLM-150 ore, f. 13839, b. 8, ciclostilato, 14 maggio 1973]. Benché meno conosciuta di altre realtà, quindi, quella meridionale è non meno dinamica di quelle del centro o del nord, benché più ristretta e problematica: in Puglia, ad esempio, nel 1974 erano stati organizzati 24 corsi 150 ore; dieci anni dopo sono ormai 350 [Russillo 1986, p. 25].

 

Materiale grigio e a stampa di fonte sindacale

Qui siamo di fronte ad una massa difficilmente quantificabile e districabile e molto dispersa sul territorio (ma di cui un buon e attendibile campione è riscontrabile nel già richiamato archivio FLM prima richiamato, oltre che negli archivi sindacali territoriali); è materiale interessante soprattutto per cogliere le varie strategie formative e educative, le tipologia didattiche, gli orientamenti culturali e i contenuti dei corsi, le eventuali differenziazioni locali, ecc. Su alcuni temi emergono indubbiamente strategie nazionali di orientamento e di socializzazione, spesso a carattere politico-sindacale. Ad es. pubblicazioni ad hoc riguardano la storia del movimento operaio italiano o il fascismo [Valiani et al. 1974]; altre investono la formulazione di vere e proprie dispense sul modello sindacale di prevenzione per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro [Marri, Oddone 1967; Oddone et al. 1977]; altre definiscono modelli di apprendimento linguistico e di alfabetizzazione degli adulti, anche per le lingue straniere [Demetrio 1976 e 1978] oppure strumenti didattici in genere [Bini et al. 1975; Rossetti Pepe 1975; CEDOS 1977]. Un esempio di questi strumenti si ha in Fondo FLM-150 ore [f. 13840, bb. 2-3, anni 1974-75 (Roma, Torino, Gorgonzola); oppure f. 13845, b. 2, Prato, aprile-novembre 1974]. In più, queste fonti segnalano una crescente attività di formazione e aggiornamento degli stessi formatori impegnati nelle 150 ore, che si debbono confrontare con la realtà adulta, in particolare attraverso un’azione specifica dell’ISFOL [ISFOL 1974; cfr. anche Monasta 1980 e Lichtner 1986].

Fonti archivistiche: i fondi dell’archivio FLM-150 ore di Roma

Per le fonti archvistiche, se escludiamo quelle disperse alla periferia delle varie organizzazioni sindacali di categoria o confederali (i cui fondi archivistici spesso, per gli anni più recenti, non sono inventariati e catalogati), la crisi e poi lo scioglimento della Federazione unitaria dei Lavoratori Metalmeccanici (FLM), a metà degli anni ’80, hanno comportato il disgregarsi di un prezioso patrimonio archivistico sindacale che si sovrapponeva pienamente alla vicenda delle 150 ore. Fortunosamente, un cospicuo fondo di materiali appartenuti alla segreteria della FLM nazionale - per quanto sommariamente inventariati e catalogati - viene oggi conservato presso la Biblioteca centrale della CISL a Roma e fondamentalmente ruota attorno alla esperienza delle 150 ore [Giacinto 1999]. Un primo inventario è stato pubblicato [Bianco 2005] ed è a disposizione in rete, all’indirizzo web: http://online.cisl.it/e-book/S03298698-0351F499 . Questo fondo, su cui sto lavorando, è utilissimo perché, da una parte, rende disponibili informazioni a livello micro-sociale - ma in chiave aggregata e non dispersa sul territorio - informazioni che negli studi degli anni ’70-‘80 si perdevano sovente e che gli archivi a livello locale non sempre, oggi, consentono di ricostruire in una visione sufficientemente unitaria (da quelli sindacali a quelli dei provveditorati); ma, dall’altra parte, soprattutto perché rende vivi, chiaramente percepibili, la dimensione umana e sociale e il carattere conflittuale di un fenomeno che ha avuto, per quanto brevemente e in chiave fortemente politicizzata, la fisionomia di un processo educativo di massa, autonomo e partecipato, come ricordatoci da De Sanctis [De Sanctis 1978, pp. 320-325]. Qualche dato di sintesi che viene da ricerche CENSIS [Delai 1977, p. 44] ci conferma la dimensione di massa, capillare e diffusa del fenomeno dei corsi delle 150 ore: 220.440 corsisti (soprattutto lavoratori industriali) solo nel primo ciclo, dal 1974 al 1977, di cui il 44,7% al nord, il 20,2% al centro e il 35,1% al sud.

 

L’articolazione dei fondi dell’archivio FLM-150 ore

L’archivio FLM-150 ore di Roma conferma questa tendenza, dando una distribuzione a macchia di leopardo e molto articolata e stratificata dell’origine geografica dei documenti conservati, Dai fondi archivistici, ad esempio, emerge che, rispetto alla effettiva partecipazione ai corsi, la produzione autonoma e decentrata di materiale documentario (progettazione didattica, offerta formativa, dispense e supporti didattici, ecc.) è diversificata e non perfettamente corrispondente, perché evidentemente collegata, negli anni ’70, ai punti alti della partecipazione e della mobilitazione sindacale. Intanto, quasi il 32% dei documenti non sono direttamente riferibili a situazioni territoriali specifiche, o perché non identificabili con certezza o perché, più spesso, forniti dalla FLM nazionale alle organizzazioni periferiche per il loro lavoro (non a caso quasi l’1,5% dei fondi è dedicato ai lavoratori all’estero). Il 23% circa dei fondi è prodotto nell’Italia del Nord-Ovest (e segnatamente nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova, ma anche a Alessandria, Bergamo, Brescia e Lecco) ed un altro 23% circa nelle “regioni rosse” del Centro Italia (Toscana ed Emilia Romagna, soprattutto, ma anche Roma). Meno del 20% viene dal Nord-Est (con un peso particolare di Padova e della sua università, in rapporto con il petrolchimico di Porto Marghera) e solo il 3%, significativamente, proviene dal Sud e dalle Isole (con posizione dominante di Napoli). Se guardiamo invece alla distribuzione per argomenti dei fondi emergono ulteriori informazioni interessanti: la suddivisione per argomenti non è facile da fare, ancor di più che per la dimensione territoriale, perché i titoli delle buste non permettono una chiara determinazione (spesso, ad esempio, la definizione di uno strumento didattico, oggetto del documento archiviato, copre i contenuti trattati nei corsi e la modulazione di essi). Comunque, seppur approssimativamente, si nota che circa il 16% dei fondi è di argomento strettamente sindacale (il sindacato stesso e le sue strategie, ma soprattutto salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, organizzazione del lavoro, impresa, ecc.); d’altro canto, oltre il 5% di essi investe l’università, nei cui seminari più frequentemente si sviluppava la formazione sindacale dei quadri di base e dei delegati proprio su questi argomenti [Causarano 2005b]. I temi della cultura generale, della scuola e della formazione rappresentano poco più dell’8% dei fondi disponibili, ma i fondi che riguardano direttamente le strategie sindacali di organizzazione e progettazione dei corsi 150 ore sono quasi il 29%, cui va aggiunto un 36% di fondi dedicati espressamente al problema del recupero dell’obbligo scolastico e dell’alfabetizzazione. Significativa l’attenzione, che si viene affermando, alle tematiche di genere e alla questione femminile-femminista (poco meno del 6%).

 

Cosa ci raccontano le fonti: la prevenzione

Un tema su cui mi sono già soffermato in altre sedi, riguarda il nesso fra 150 ore, formazione delle élites sindacali di fabbrica e questione della prevenzione della salute, della sicurezza e dell’ambiente nei luoghi di lavoro. Il modello sindacale della prevenzione (la “salute non si contratta”, la “non monetizzazione del rischio”, la “non-delega”, ecc.), emerso negli anni ’70, si costruisce attorno ad un progetto continuo di ricerca-intervento dei lavoratori dalle evidenti valenze formative, rispetto alla conoscenza consapevole e partecipata del ciclo produttivo e della sua organizzazione e dei suoi rischi e alla capacità di modificarne gli indirizzi, con un impatto tecnico, sociale e economico importante e che si vedrà nelle trasformazioni organizzative successive dell’impresa [Marri 1980]. Fattore non secondario è poi il confronto con la medicina del lavoro e con la sua articolazione come disciplina accademica (con le connessioni con l’ergonomia, l’epidemiologia, la psicologia del lavoro, ecc.) (cfr. seminari universitari 150 ore). Vi è una modificazione quindi del linguaggio operaio e sindacale, per quanto poi reiterato talvolta meccanicamente, che segnala una consapevolezza cognitiva e un grado di apprendimento elevato rispetto alla complessità delle tematiche della prevenzione in fabbrica (tecnico-scientifiche, clinico-epidemiologiche, organizzative, ecc.), che è ben diverso da quello delle generazioni operaie precedenti. Vi sono una miriade di dispense autoprodotte dalle rappresentanze di fabbrica, insieme ai sindacati di categoria o territoriali e ai tecnici dei nascenti servizi territoriali di prevenzione e, talvolta, con l’università, che riguardano soprattutto il triangolo industriale (Genova, Torino e Milano) ma non solo, come nel caso dei distretti industriali a vocazione specializzata (ad esempio tessili).

 

Cosa ci raccontano le fonti: le storie di vita

Un altro elemento che vivifica questi materiali d’archivio sono le “storie di vita”, utilizzate sia per costruire specifici percorsi didattici (l’autobiografia e la ricostruzione sociale dell’autostima) sia come campo di ricerca sulle motivazioni e sul contesto sociale in cui matura la partecipazione ai corsi 150 ore. In particolare, in questo caso, dall’archivio emerge un altro fattore trasversale e di ampia diffusione nazionale: l’affermarsi delle tematiche di genere e di una specificità riguardo al nesso formazione e lavoro della donna (soprattutto sulla salute) [ad es. cfr.: Fondo FLM, f. 13843, bb. 1-2, febbraio 1975; oppure tutta la f. 13846]. Quest’altra esperienza di ricerca-intervento ha poi dato vita ad un fiorente campo di studio che, incidentalmente, ha innovato potentemente le ricerche sul lavoro e sull’identità adulta, sia nelle scienze sociali che nelle scienze dell’educazione e umane (per la pedagogia, emblematica la figura di Duccio Demetrio). Dal punto di vista storiografico, un esito importante di queste sperimentazioni nella ricerca è stato l’impulso alla storia orale (si pensi a Passerini e Contini, ad es.), che ha avuto una particolare e ricca declinazione in Italia.

Vi è un bell’esempio dell’utilizzo conoscitivo e relazionale, nel contesto educativo delle 150 ore, del metodo auto-biografico [Fondo FLM, f. 13845, b. 1, Milano, 1974]. Nel 1974, nell’ambito di corsi 150 ore di alfabetizzazione primaria e funzionale alla Bovisa e della sperimentazione didattica tentata su un ampio ventaglio di aziende presenti sul territorio, i formatori del corso puntano a sollecitare l’interesse dei corsisti e delle corsiste a partire dalla loro concreta esperienza di vita. Anche a Empoli nel 1975-76, la richiesta in direzione di un apprendimento basato sull’esperienza di vita e di lavoro viene esplicitata dagli stessi corsisti. Ad es., F.P., operaio meccanico, dice: “Dopo anni che sono assente dallo studio per motivi economici, mi ritrovo di nuovo in aula non come da scolaretto […] ma per cercare di capire quale è il male che nuoce alla società di noi lavoratori. Pensavo di dover studiare di nuovo cose che in un certo senso mi possono aver dato sì un po’ di cultura, però mi hanno tenuto all’oscuro di cose reali. Vedo più giusto cercare di capire i problemi che ci sono in casa, in negozio, nell’industria, in tutti i luoghi che frequentiamo”; oppure C.M., confezionista: “Mi piace soprattutto che a scuola ognuno di noi, operaio, casalinga, ecc., si esprime come può ed insieme possiamo parlare, discutere di tanti problemi di cui siamo vittime” [Fondo FLM, f. 13844, b. 1, Empoli (FI), 1975-76]. Alla Bovisa, ad esempio, per la matematica, si parte dalla capacità di comprendere a fondo il sistema salariale e di remunerazione, a cominciare dalla busta-paga e dalla sua struttura (paga-base, indennità, incentivi, ecc.). Per la storia e la geografia, si punta ad es. sull’esperienza traumatica dell’emigrazione o sui ricordi del fascismo. Per l’italiano e le abilità linguistico-espressive, viceversa, si punta alle “storie personali”, che servono ad enucleare i temi portanti rispetto alla questione dello studio, in rapporto alle esperienze di vita passate e presenti. Viene elaborato uno schema di partenza, su domande aperte: 1) perché sono venuto/a al corso 150 ore? 2) cosa mi aspetto da esso? 3) qual è la condizione lavorativa e quali i suoi problemi relativi? 4) qual è la situazione socio-ambientale, comprese le origini sociali della famiglia? (da dove vengo? come mi trovo a Milano? quali problemi incontro nella realtà milanese?).

 

Cosa ci raccontano le fonti: “la scuola di noi operai”

Il campione della Bovisa risulta composito: 95 lavoratori, di cui solo 27 milanesi, il resto immigrati (soprattutto negli anni ’60), in gran parte da Meridione e isole. Molte sono donne, per la forte presenza di industrie tessili. Alle prime due domande, vi sono due tipi di risposta prevalenti: vi è chi pensa di utilizzare il corso delle 150 ore per migliorare, utilitaristicamente, la propria condizione lavorativa, ma anche chi esprime motivazioni meno strumentali e più profonde sia di ordine culturale che psicologico, in qualche caso per superare vere e proprie forme di disadattamento sociale, evidenti negli immigrati. Tutti comunque, in base alla propria negativa esperienza passata, rifiutano i percorsi di studio selettivi e la scuola “normale” (compresi i corsi serali, festivi, ecc.). Alcune affermazioni significative dei corsisti: “Sapendo che esiste questa scuola, la scuola di noi operai, perché non frequentarla? Io penso che mi dia di più che una scuola serale, in quanto la nostra scuola è fatta con la collaborazione di noi operai studenti, e ciò significa molto per me, perché se durante l’anno avrò dei problemi, so di non essere solo, ma aiutato da tutti”. “Mi aspetto da questo corso di sapere vedere chiaro in me stessa… e non più isolarmi, perché avvenimenti o situazioni [sono] troppo difficili da capire o da svolgere”. “Un aggiornamento culturale, poter parlare più speditamente anche davanti a persone più istruite di me, e dato che sono una delegata di reparto, mi capita spesso di trovarmi di fronte a gente che con parole difficili cerca di trarre profitto dalla mia inesperienza sulla lingua italiana”.

Alla domanda tre, emerge con forza la questione del cottimo, dei ritmi di lavoro, dell’ambiente e delle condizioni di lavoro, in generale l’insoddisfazione per un lavoro monotono, poco motivante, frustrante se non addirittura nocivo e per ritmi di vita percepiti come frenetici. Un operaio milanese dice “che si vive con l’orologio in mano”. Ma una differenziazione, in termini generazionali, emerge chiaramente là dove i più giovani, paradossalmente (e forse perché la loro storia di vita è ancora agli inizi), sono più contenti, anche del cottimo e delle opportunità economiche che ne derivano. Queste questioni anticipano la discussione sull’evoluzione delle motivazioni al lavoro e sulla loro disarticolazione rispetto ad una presunta unitarietà della cultura operaia del lavoro [Accornero 1980; Romagnoli, Sarchielli 1983].

Infine alla domanda quattro, le condizioni sociali delle famiglie di provenienza sono prevalentemente contadine o artigiane, soprattutto fra gli immigrati; già socializzate al lavoro industriale invece soprattutto fra i milanesi. L’abbandono scolastico è spesso determinato da traumi familiari (perdita di un genitore, ad es.), ma in ogni caso - come aveva già detto Don Milani - la soglia di selezione finale è rappresentata dall’accesso alla scuola media inferiore. Il giudizio degli immigrati su Milano è ambivalente e i giovani, di nuovo, dimostrano di essersi inseriti meglio. Molti, e soprattutto le donne, sottolineano che fra le ragioni familiari che hanno spinto all’emigrazione, oltre a quelle direttamente economiche, ve ne sono anche di ordine culturale e sociale, per sfuggire ad un ambiente d’origine chiuso ed oppressivo, “da Medioevo”. Ma molti, tuttavia, riscontrano anche profonde difficoltà ad inserirsi nella realtà milanese. “Vivo a Milano da 21 anni e mezzo, e il concetto che mi sono fatto di questa metropoli è piuttosto cattivo, descriverla in una parola basta dire: schifezza … La vita a Milano per me è come una corsa, bisogna correre, correre continuamente, e nel momento in cui uno si ferma si accorge di essere al punto di partenza”.

 

Riferimenti archivistici: Biblioteca centrale CISL – Fondo FLM/150 ore

F. 13839: b. 8, Il movimento delle scuole popolari a Napoli: analisi, lotte, prospettive, ciclostilato, 14 maggio 1973

F. 13840: bb. 2-3, Dispense per l’insegnamento della lingua italiana, anni 1974-75 (Roma, Torino, Gorgonzola)

F. 13843: bb. 1-2, Ambiente di lavoro e salute. Corso 150 ore presso la Facoltà di Scienze naturali, febbraio 1975

F. 13844: b. 1, Il problema della salute in fabbrica e nella società, corso 150 ore 1975-76, Empoli (FI)

F. 13845: b. 1, Fascicolo storie personali, corso 150 ore a Bovisa (MI), 1974, lavoratori e lavoratrici delle ditte Face Standard, Ceretti Tanfani, FBM, GTE, Baroggi, Quadri Elettrici Milano, Oerlikon Italiana; b. 2, Corso 120 ore (tessili), Prato, aprile-novembre 1974 (1 vol.: italiano, storia, scienze, matematica, algebra, geometria; 2 vol: storia del lavoro e organizzazione industriale)

F. 13846: b. 1, Inchiesta sulla fabbrica delle operaie del Tubettificio Ligure (Mandello del Lario-Lecco), corso 150 ore 1975-76; b. 2, Gruppi di studio per il lavoro tra le donne, Materiali per una discussione sulla questione femminile, USP-CISL Milano, settembre 1976; b. 3, La famiglia ieri e oggi, Padova, materiali 150 ore 1975-76 (la cosa si collega poi alla questione dell’aborto: BB. 8, 10-12, 14, 15); b. 4, Inchiesta sulla condizione femminile in fabbrica, Aramis e Aiace (tessile), Azzano (SP); bb. 5-6, La condizione della donna dalla Rivoluzione francese ad oggi. Lavori di gruppo dei corsisti, corso 150 ore 1975-76, Roma; b. 7, La condizione della donna che lavora: nella fabbrica e nella società, Merate (Lecco), novembre 1974; b. 9, La condizione della donna in fabbrica e in società, contributo delle delegate e dei docenti, Torino, s.d.; b. 13, Aspetti della società contemporanea. Condizione della donna, corsi serali sperimentali 150 ore per lavoratori, 1975-76, Roma; b. 17, Indagine sulla condizione della donna, lavoro femminile di gruppo, corso 150 ore a Zingonia (BG), s.d.

Riferimenti bibliografici

Abbate A. et al. (1975), Le 150 ore in Toscana. Ricerca sul diritto allo studio: il monte-ore retribuito dei lavoratori, Rimini-Firenze, Guaraldi

Accornero A. (1980), Il lavoro come ideologia, Bologna, il Mulino

Accornero A. (1992), La parabola del sindacato. Ascesa e declino di una cultura, Bologna, il Mulino

Barbano F. (1982), a cura di, Le 150 ore dell’emarginazione. Operai e giovani degli anni ’70, Milano, Angeli

Bianco A. (2005), 150 ore per il diritto allo studio. Il fondo FLM della Biblioteca centrale CISL, mimeo, dattiloscritto, Roma, Biblioteca centrale CISL (http://online.cisl.it/e-book/S03298698-0351F499)

Bibliografia italiana sull’educazione degli adulti (1945-1979), Firenze, Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Magistero, 1982

Bini G., De Mauro T., Fanelli S., Lichtner M., Lombardo Radice L., Maraschini W. (1975), Didattica delle 150 ore, Roma, Editori Riuniti

Bondioli et al. (1978), La difficile conquista del sapere: le 150 ore in Sicilia e la difficoltà di sviluppare un'esperienza di scuola per lavoratori nell'ambiente meridionale, Catania, CULC

Boriani M. (1999), a cura di, Educazione degli adulti: dalle 150 ore ai Centri Territoriali Permanenti, Roma, Armando

Capecchi V. (1981-82), a cura di, Le 150 ore in Emilia-Romagna. Storia e prospettive, ricerca IRPA, Bologna, il Mulino (6 voll.)

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