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Nuovi modelli di scrittura in rete: storia e ipertesto

Il titolo del contributo, forse volutamente provocatorio, di Criscione “Sopravviverà la storia all’ipertesto?” (48) ben evidenzia la titubante e perplessa accoglienza della comunità degli storici verso questa nuova forma di prodotto storico. Le maggiori esitazioni e critiche risiedono nel fatto che la struttura ipertestuale nel rompere le sequenze temporali spaziali e causali, da sempre centrali per la costruzione e la comprensione di un testo storico introduca forti e pericolosi rischi frammentazione e di confusione ed anche di perdita di autorità dello storico e del suo lavoro. Inoltre, sembrerebbe incoraggiare un possibile ritorno ad un positivismo storiografico “attraverso l’idea di poter ‘restituire’ il passato al massimo possibile della sua integrità, grazie ai mezzi offerti della tecnologia” (49) incoraggiando così una logica di ‘disintermediazione’ e di ‘immediatezza’ dove l’illusione di un rapporto immediato e privato (50) con il passato renderebbe inutili le mediazioni costruite da storici, archivisti e studiosi. Ed infine implicare, quasi necessariamente, un’adesione alle correnti post-strutturaliste (51). Il rischio di creare opere ad alto tasso di disorganicità, prive di una forte direzione e quindi di uno scarso valore, sembra ormai essere smentito e superato; si fa infatti strada la consapevolezza che la relazione fra il linguaggio dei nuovi media e la storia sia “non confusione ma esercizio di razionalità critica” (52), quindi, non assoggettamento al dominio della casualità né alla libertà individuale di operare propri percorsi, ma, al contrario, esercizio di una progettualità e di una regia molto più ampie e complesse da parte dello storico, che non perde così la sua funzione di ‘organizzatore di conoscenze’ bensì la mantiene e la arricchisce (53). E’ solo nella ‘gradazione’ di ipertestualità, afferma giustamente Minuti,  che l’autorità dello storico può essere messa in discussione: ipertestualità e possibilità di controllo e di mantenimento di autorità si mostrano infatti come due grandezze inversamente proporzionali, se e quando una cresce l’altra inevitabilmente diminuisce, ma “essere consapevoli di questo fatto …non significa dover arretrare di fronte alle possibilità offerte e riprodurre un po’ ottusamente le forme della pubblicazione cartacea, ma semplicemente essere indotti alla cautela” (54). La natura dell’ipertesto potrebbe (55) arricchire e valorizzare la comunicazione storica e la funzione dello storico grazie alla possibilità di presentare un percorso di ricerca storica con una molteplicità di livelli di analisi e di dimensioni, sconosciuti ed improponibili per un testo tradizionale: “una esposizione storiografica capace  di linkaggi funzionali fino alla prefigurazione di scritture storiografiche dotate intrinsecamente ed esplicitamente di molteplici livelli di lettura, con molteplici livelli di documentazione disponibile” (56).  


            L’iperteso di storia in rete si propone quindi come modello di scrittura storica nuovo e differente rispetto al testo cartaceo (con regole, strutture e finalità proprie)  ma non alternativo a questo. Il provocatorio quesito di Criscione perde così gran parte del suo effetto dirompente e catastrofico: la storia ed anche la sua scrittura tradizionale resisteranno all’ipertesto, magari affiancandolo e traendone potenzialità sempre maggiori.




 


 

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Crediti: D.Ragazzini, G.Spinelli, T.Cattabrini